23 giugno 2014

Favola di un albero di mele

Il cielo ci appartiene molto di più della terra. La bilancia della farmacia dice che peso qualche grammo in più di 60 kg e la lucetta dei centimetri oscilla intorno ai 176, dipende da quanto stiro il collo. Stando a questi dati il mio corpo ha una superficie di 1,75mq; 1,70mq di questi sono avvolti dal cielo ed il resto toccano la terra! La noia dei calcoli, talvolta, può condurre a conclusioni di fantasia quindi diciamo che se mi mettessi su un solo piede sarei quasi tutto del cielo! Se volare è appartenere al cielo non mi spiego perché ci ostiniamo a definirci “terrestri”. La gravità agisce più sulla nostra fantasia che sulla nostra massa.


Di Zinno, più o meno, la pensava come me. Mio nonno mi raccontava che suo nonno gli aveva raccontato che un suo zio era compagno di giochi di Paolo Saverio Di Zinno. Pare che da piccolo l’ideatore dei Misteri passasse l’estate arrampicato su un albero di mele. Ogni giorno scorticava un pezzetto della corteccia del ramo più resistente e poi ci ripassava su con il fianco di una pietra ruvida per dargli una lisciata. Ed ecco che, poco alla volta, veniva fuori un “sedile” più comodo su cui si sarebbe seduto a gustare, in santa pace, le squisite limoncelle che gli gravitavano intorno. I genitori, seppure molto apprensivi, non ne sapevano nulla!

Fine agosto. La giornata si truccava di arancio, poi di rosso e poi quasi di blu. Il posto sul ramo richiedeva ancora qualche ritocco ma era ora di rientrare. Non era neanche tanto la paura di un buffetto del papà, quanto il timore di essere messo in punizione e di non uscir di casa per qualche giorno a causa di quel ritardo…chi lo avrebbe finito di sistemare il bel sedile sul melo? Scendendo in fretta, scivolò: prima i polpacci, poi i glutei ed infine la schiena, scorsero lungo il ramo che, forse per affezione, lo arpionò al colletto della camicia e lo resse, come un impiccato, fino all’alba! Di Zinno provava a divincolarsi muovendo le spalle ma il melo lo teneva forte. Il piccolo Paolo, però, iniziò a scoprire il divertimento del dondolarsi, dell’oscillare e così passò spensierato le ore di buio. L’armonia dei movimenti amplificò le oscillazioni del ramo che, ad un tratto, lo lanciò in aria facendolo poi cascare a terra. Un attimo e, a gambe levate, Paolo rientrò per le stradine della piccola Campobasso tutta allarmata per la sua “scomparsa” e raggiunse casa. Furono ceffoni e punizione!


Una settimana dietro la finestra lo fecero riflettere ma non lo fecero pentire: si era davvero divertito e presto sarebbe tornato al melo! Quando tornò al ramo, un po’ completava il suo sedile ed un po’ si dondolava con le mani agganciate saldamente alla corteccia.
Un giorno, più o meno d’autunno, il ramo si spezzò e lui perse sedile e divertimento! Siccome le sventure non arrivano mai sole, all’inizio dell’inverno la mamma di Paolo riempì un sacco di iuta con un calzone nuovo, due camicie resistenti, una coppoletta, la biancheria, il lenzuolame ed un bel pollo, vivo, con cui chiacchierare durante il viaggio da Campobasso a Napoli. Gli toccava la vita da bottega. Il padre diceva: “Imparerai a far qualcosa” ma il bambino Di Zinno pensava solo al suo albero di mele.
Giunto a Napoli arrivarono alla bottega di un artigiano che per lavoro realizzava capezzali e comodini e che, da circa una decina d’anni, tentava di concludere, con passione, le tavolette della Via Crucis per la chiesa di un tale don Tonino. Dovevano solo essere limate, un lavoraccio noioso e faticoso.


Nemmeno il tempo di arrivare, il signor Di Zinno lasciò il pollo al mastro mentre Paolo si ritrovò solo con una lima. Dopo qualche mese le tavolette erano pronte per affrontare le preghiere della Quaresima.
Tra le chiacchiere di bottega un giorno arrivò voce che un tale Newton, grazie ad una mela, aveva scoperto “Come si cade”. A Paolo brillarono gli occhi: il suo albero di mele, invece, gli aveva fatto provare il brivido del volo…prima di cadere!
Se questo tizio, Newton, aveva intrapreso uno studio così triste che spiegava che l’uomo non avesse la forza di staccarsi da terra, Di Zinno partì con la sua sfida. Iniziò a costruirsi un albero artigianale inchiodando le tavole migliori della bottega e, quando il mastro si assentava, allacciava ai “rami artificiali” i comodini più pesanti per vedere fin quando resistevano al peso. Nulla da fare…si spezzavano tutti! Doveva essere una questione di concentrazione. Tutta colpa delle martellate sull’incudine di quel pazzo del fabbro affianco. A proposito di martellate, a proposito di folli: forse quei metalli potevano essere più resistenti e più flessibili di quei traversi di legno!
Paolo Di Zinno fece amicizia con il mastro fabbro e, quando il mastro falegname andava via raccomandandogli di gestire la bottega con responsabilità, lui chiudeva il portone e se ne andava a vedere come il ferro cambiava colore e temperatura. Si fece prestare un’asta di ferro, allacciò una corda all’estremità e ci agganciò il solito comodino. L’asta, finalmente, reggeva così come l’albero di mele aveva retto lui quand’era ragazzino.
Ora, Di Zinno, voleva fare il fabbro: senza dubbio. E mentre si convinceva di questo, don Tonino bussò alla porta del mastro falegname: aveva bisogno di statue per le sue nicchie. Per rispetto e riconoscenza, Paolo capì che non poteva abbandonare il mastro falegname e fu costretto a dedicarsi alle statue di legno. Per tanti anni. La cosa non gli dispiacque, anzi: in tanti si accorsero del suo talento e della sua propensione spiccata per l’arte della scultura. “Complimenti” gli dicevano e, anche se non tutti provvedevano a pagare, pian piano Di Zinno accumulò monete per un bel valore e decise di tornare a vivere nella sua Campobasso.
Tornava da uomo, con la barba forte, un bel vestito e dei piccoli regali nel sacco. Da adulto era diventato anche un po’ più pesante di quando aveva spezzato il ramo di melo ma il suo divertimento di molleggiare non lo aveva mai dimenticato. Con i trucchi del buon fabbro napoletano si costruì un albero di ferro e lo piantò saldamente in un pezzettino di terra vicino alla sua casa. Un albero a cui agganciò prima un solo seggiolino molleggiante; quando si sposò predispose un altro seggiolino per far provare il divertimento anche a sua moglie; ne aggiunse altri quando nacquero i suoi figli.
La cittadinanza, venendo a conoscenza di questa giostra così divertente, chiese al Di Zinno di costruire alberi di ferro per tutti. Rispettoso della natura, però, Paolo strinse un patto con i campobassani: se loro si fossero impegnati a tenere la città bella come un giardino, con alberi, piante e fiori, lui avrebbe ricambiato con qualcosa di sorprendente…di “misterioso”, diceva lui! Più o meno accettarono tutti: Campobasso diventò la città giardino e Di Zinno le regalò non uno ma tanti Misteri!


Newton, dalle parti di Londra, era morto nella “tristezza terrena” della sua scoperta e, probabilmente, finì sotto terra. Di Zinno, dalle parti di Campobasso, morì una cinquantina d’anni dopo ma, probabilmente, si trovò già in cielo nella “gioia della sua arte”.


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